Bartolomeo Stefani. Seicento, Stagionalità e Cucina

Articolo, Ricetta

Uno dei maggiori cuochi secenteschi fu Bartolomeo Stefani. Di lui possediamo però notizie abbastanza scarne che apprendiamo principalmente dalle pagine della sua stessa opera: L’Arte di ben Cucinare, et instruire i men periti in questa lodevole Professione. Dove anco si insegna à far Pasticci, Sapori, Salse, Gelatine, Torte, et altro, stampato per la prima volta a Mantova nel 1662, nella tipografia degli Osanna (1). Particolarmente ricca di spunti risulta essere la dedica a ‘discretti Lettori’ della quale vogliamo commentare alcuni passi:

‘Altro Genitore, né altra Genitrice conosce questo mio parto, che un zelantissimo desiderio & un ardentissima volontà di istruire i men periti in una professione, nella quale non possono mancar i encomij, ed applausi: come quella, che sà amicarsi le bocche, col renderle delicate nell’esquisitezza de cibi; onde, Lettori discretti, da Genitori così affettuosi vi potete promettere un figlio tutto amore. Qui con soavi maniere haverete instruttioni per distinguere ordini, disporre vivande, regalare, & adornare i piatti, e con generosa spesa e con mediocre; sì che ad ogni occorrenza & ad ogni genio soddisfar potrete […] Aviso per ultimo, che questo Libretto non esce da un’Academia, ma bensì da una Cucina. Non propongo regole di ben dire, mà di ben condire’

In questo passo d’apertura lo Stefani, programmaticamente, manifesta lo scopo dell’opera: insegnare ai ‘men periti’ la sua arte, avvisando il lettore che, sebbene il libro dia istruzioni ‘soavi’, la lingua in cui suddette istruzioni vengono espresse potrebbe non essere elegante e corretta: L’Arte di Ben Cucinare non esce da un’Accademia, ma di Cucina ed il punto d’arrivo non è il ‘ben dire’ bensì il ‘ben condire’. Nelle righe successive invece, lo Stefani, con afflato barocco, si dilunga sul suo rapporto con le fonti, contemporanee e non, e con i colleghi, restituendoci l’idea, topica, di un ambiente altamente competitivo:

Nel progresso de’ miei discorsi accenno qualche disvario intorno all’altrui opinioni, e del mio diverso operare ne rendo le ragioni, non per questo mi inoltro à mordere alcuno, consapevole, che la diversità del clima, della complessione, e del capriccio di chi comanda, può somministrare le cagioni di procedere diversamente. Detesto altresì certuni, che non stampano senza imprimere ferite sopra l’altrui riputatione, né mandano alla luce, che non tentino di oscurare ad altri il nome; livore, che per essere sempre mordaci, tanto più dall’humano s’allontana, quanto maggiormente al camino s’accosta nelle Stampe, per mio credere, mà più ragionevolmente lagrimano, che quando imprimono queste maledicenze. Io non sono di simile natura. Lodo i buoni, e compatisco i mediocri, non biasimo gli infimi.

Il terzo passo che vogliamo prendere in esame è quello più denso di riferimenti biografici in cui il cuoco dei Gonzaga ci parla dei successi di Giulio Cesare Tirelli, suo zio e suo primo maestro dell’arte di cucina e scalcheria:

appreso questa professione da quel Giulio Cesare Tirelli, che in questi affari non conosceva superiori, l’opra di cui hà così egregiamente e con sua lode incomparabile, incontrato il delicato genio della Serenissima Repubblica Veneta, che non senza gran difficoltà di là si puotè sbrigare richiamato dall’amore della Patria, per impiegare gli ultimi anni di sua vita in servigio dell’almo Reggimento di Bologna, che con graziose istanze, e magnanime offerte, a ripatriare, l’invitava. E per tralasciare hora gli encomi, che dalla Regia Corte di Londra, e dà primi Principi d’Italia in occasione di maestosi Conviti, e di sontuose Nozze, riporto ciò, che decanterà per mille secoli la Fama, dico solamente, che questi in materia di rappresentare trionfi formar Statue, e Vaghezze né più pomposi apparati, e di condire & ornare vivande d’ogni qualità, e beare col gusto la vista insieme de’ più sublimi Eroi, si poteva veramente chiamare, in utroque Caesar. Sono allievo, e nipote d’un tanto Maestro, che per essere insigne non gli mancò maniera di bene insegnarmi l’Arte di cui favello

Quest’ultimo estratto offre due interessanti riflessioni: la prima, scontata, sull’importanza del testo a stampa: di Giulio Cesare Tirelli, infatti, non è rimasta alcuna opera, e del suo lavoro in terra italica ed inglese, qui magnificato, l’unica testimonianza reale è proprio quella dello Stefani; senza di essa il nome di Tirelli sarebbe stato dimenticato. L’altra riflessione è sul concetto di Italia e patria nel barocco. Riguardo tale concetto, su cui tutti gli storici si confrontano, Stefani è chiarissimo: Bologna è la patria di Tirelli, opposta a Venezia, dove a lungo lavorò per la Serenissima. L’Italia è ancora un concetto squisitamente geografico e non d’appartenenza. Alla dedica ai lettori segue poi un’interessantissima disamina delle figure dei lavoranti di cucina (Capo Cuoco, Sotto Cuoco, Garzoni, Guatteri) dei quali lo Stefani ci lascia le sue considerazioni, a partire dalla sua propria mansione, quella di Capo Cuoco (2). Considerazioni più moderne del contemporaneo a giudicare da tutte le testimonianze sull’ambiente tossico che si respira nelle odierne cucine professionali, per lo meno a giudicare dai numerosi articoli ultimamente pubblicati sui più noti quotidiani e media:

Deve il Capo Cuoco in tutto, e per tutto fedelmente servire il suo Signore, e Padrone in qual si sia modo, non trascurando il comando di quello, in ciò che porta il suo affare, e servendo in Corte di Prencipi, overo di Cavalieri privati, la servitù de’ quali vi sia maggiurduomo, quello deve, dopo di questo, il signor Maestro di Casa, che sarà il secondo, e lo Scalzo per terzo, qualde deve ubbidire per il semplice servitio delle Vivande. Havendo il Capo Cuoco perfetta intelligenza nel dimandare i condimenti per le vivande, per ben oprare tenendo sempre à memoria, che il poco fa buono & il troppo il più delle volte guasta.

Il Capo Cuoco deve essere con i Cuochi, Garzoni, Guatteri, amorevolissimo per eccitare gli siddetti al buon servitio, mà avertire di non lasciarsi perdere il rispetto perche al tempo di adesso, molti ve ne sono, che quando hanno schiumata la pignata, si stimano essere assai maggiori del Capo Cuoco. Non deve il Capo Cuoco appropriarsi alcuna benchè minima porzione di buone mancie, ò regaglie, che fossero proprie de’ suddetti Cuochi, Garzoni, ò Guatteri, che facendolo si farebbe perdere il rispetto, e poco l’ubbidirebbero, cosa di grandissimo pregiudizio a buon servitio, considerando, che un Capo Cuoco, per valent’huomo che sia, senza l’aiuto de’ suddetti, dà le loro non può ben oprare, e ben servire

L’importanza della stagionalità dell’ingrediente è, ormai, un fatto acquisito e automatico sia per le grandi cucine stellate che per le cucine domestiche. Ma i tempi cambiano, ‘non ci sono più le mezze stagioni’ e il cambiamento climatico comporterà pure delle differenze fra la stagionalità contemporanea e quella degli antichi cuochi. Sicuramente nell’impostazione di cucina di corte dello Stefani, la stagionalità è fondamentale nel piatto ma, altrettanto importante e dirompente potrebbe essere la mancanza della stessa! Mi spiego meglio…

Negli Avvertimenti alli Signori Lettori circa alcune cose appartenenti alli Banchetti descritti in questo presente Libro, il nostro capo cuoco ci tiene a precisare che solo chi non ha conoscenza del territorio al di fuori di quello in cui risiede, solo ‘a chi troppo piace il pane della città natia’ e e solo chi non ha abbastanza denaro è obbligato a rispettare strettamente e necessariamente la stagionalità, per tutti gli altri, quasi tutto è sempre disponibile in quel gran mercato d’ingredienti che è il Mediterraneo e la penisola italiana:

“Perché in questi miei Discorsi a certe occasioni ordinò alcune cose, come per esempio, Sparagi, come Carcioffi, Roviglia ò Piseli, che vogliam dire, ne’ mesi di Genaro, Febraro, e cose simili, che à prima faccia paiono contro stagione, massime a chi non hà passato il fiume della patria, nominato benespesso sotto nome di Mare, & a chi troppo piace il pane della Città natia. Per tanto sappino costoro , che chi hà valorosi destrieri, e buona borsa, in ogni stagione troverà tutte quelle cose che loro propongo, e ne’ medesimi tempi, che ne parlo”.

Questa parte del testo è poi un incredibile catalogo di ingredienti regionali disponibili per ogni stagione e per ogni mercato; un vero e proprio spaccato descrittivo esatto e puntuale delle conoscenze  dovute a un Capo Cuoco di corte barocca, e nel quale Bartolomeo Stefani si muove con larghezza sui mercati del territorio italiano e dimostra di avere una conoscenza geografica-produttiva stupefacente:

Napoli e la Sicilia nelle loro riviere alla fredda stagione producono Cedri, Limoni, Aranci, Carcioffi, Sparagi, Cavoli fiori, Fave fresche, Lattuche ordinarie, & vaghi fiori, delle quali cose a tutto il Regno ne fà parte. E la riviera di Caeta negli stessi tempi serve dei medesimi frutti Roma, Genova con tutta la sua Riviera abbonda delle medesime cose, e benche produca i Cavoli fiori più piccoli di quelli, che si praticàno Roma & à Fiorenza, supera però Napoli, Sicilia & altri luoghi; e di tutte queste cose provede Milano, Fiorenza, Bologna, Torino, Piacenza, e le città à quegli vicine con buona parte della Lombardia.

La riviera di Salò procrea Cedri che di grossezza, & bontà non hanno pari, ma quanto a’ Limoni, e Naranci cede a’ Luoghi già detti. Gli Orti vicini à Venetia, come sono quelli di Lio, Palestrina, Chiozza, & altri, sono fertili di Sparagi bianchi, Carcioffi, e Piscelli nelli Mesi in particolare di Genaro, & Febraro, & in oltre son copiosi di vaghissimi fiori. Ne’ tempi si gode la Tartuffola delle pianure che si può conservare in oglio per i tempi caldi, ne’ quali ancora se ne può havere di fresca, estratta da monti e colli & in specie se ne ritrova vicino alla Volta, e Capriana, Terre del Serenissimo di Mantova.

Bologna, mia Patria, produce anch’ella nell’Inverno Finocchio cardato di tutta candidezza e bontà, e Cardi che pesano trenta in quaranta libre l’uno; e l’Uve colà si conservano per tutti i tempi freddi: In oltre abbonda d’Olive di grossezza, e perfettione al pari di quelle di Spagna, e di queste cose ne comparte à tutta la Lombardia, Romagna, Fiorenza, e Province vicine; per sino à Roma. Di più fabrica Mortadelle d’esquisita bontà, che sono famose per tutta l’Italia.

Fiorenza compone salami muschiati, & agliatti, e Formaggi detti Marzolini, il tutto oltre modo gradito fino oltre gli Italiani confini. Chi habita Roma la trova dovitiosa di molte delicatezze, & è celebre per le sue provature.

Milano, nella perfettione de’ Cervelati supera ogni Città. Per la precedenza de la bontà de’ Formaggi tra loro contendono Piacenza, e Lodi, quanto à me, non saprei contro quale di queste Città decidere la causa senza farle un torto manifesto, perchè il Formaggio di Lodi non si può nominar, che non si lodi, ne quello di Piacenza si può gustare, che non piaccia.

Modena provede anch’ella le Cucine delle sue delicate Salsiccie, esquisite per far suppe & ornar vivande. Parerebbe Ferrara sola rimaner povera fra tante Città, se non co’ suoi delicati Pesci (non parlo di quelli delle Valli) sommerge l’honore delle altre Città in un mar di delicatezze, oltre che con i suoi Cinghiali, de’ quali è feracissima, loro da non poche cingiate, come anco porta il vanto per il Caviale perfettissimo di Sturione.

Mantova per molti, e molti secoli sempre gloriosissima, & ove dì presente opero quest’Arte, nutrisce ne’ suoi Laghi pesci di segnalata grandezza, chiamati Bulbari e da tutti i tempi se ne pescano di sessanta e di settanta libre, e quando si fa la pesca generale, di smisurata grandezza

Di questa sua vasta conoscenza e della sua capacità di trovare ingredienti fuori stagione lo Stefani fa buon uso quando alla fine del novembre 1655, essendo stato chiamato a preparare il banchetto per la venuta di Cristina di Svezia – che il nostro si fregia di aver servito personalmente – egli apre il banchetto addirittura con delle fragole nel vino bianco (3). Sotto potete trovare le occorrenze dei singoli ingredienti o preparazioni con specifiche regionali usate da Bartolomeo Stefani nel suo ricettario. Fra esse possiamo notare con piacere che il cuoco bolognese comincia a distinguere almeno due tipologie di olio differenti da utilizzare a seconda delle ricette:

Parmigiano – 18 occorrenze
Pasta di Genova – 10
Formaggio Lodigiano – 7
Olio di Toscana – 7
Biscottini alla Savoiarda – 6
Uva fresca di Bologna – 4
Trota del lago di Garda – 3
Tinca del lago di Garda – 3
Pasta Tedesca – 3
Olive di Spagna -3
Miglioramenti del lago di Garda – 3
Cantucci di Pisa – 3
Asparagi bianchi di Venezia – 2
Cervellato di Milano – 2
Mostaccioli di Napoli – 2
Olio di Genova – 2
Carpione del lago di Garda – 2
Anguille di Comacchio – 2
Latte alla Spagnola – 2
Lardellatura alla Francese – 2
Sarda del lago di Garda – 2
Provature di Roma – 2
Finocchio accardato di Bologna – 2
Salame crudo di Firenze – 2
Spezie di Venezia – 2
Prugne di Marsiglia – 2
Prugne damaschine – 1
Pasticcio alla genovese
Polpette alla romana
Pasta di Genova piccata,
Piccada alla Genovese,
Lattuga romana
Menta romana
Cardo bianco
Capperi di Genova
Salsiccia di Modena
Cipolle di Romagna
Noci fresche
Fiore di salvia
Uva fracassata all’italiana
Crocette alla genovese
Aiolini alla bolognese
Pasticcio all’inglese
Pasticcetti di bocconi alla genovese
Amule di Marsiglia
Lampreda di Trevigi
Mostarda di Carpi
Cascetti di Romagna
Rravaggioli di Siena
Carciofi di Venezia
Garganice di Verona
Mortadella di Bologna
Frittelle di Crema
Braciole ripiene alla francese
Pasta alla fiorentina
Persico del Mincio
Gelsomini di Catalogna
Salame di Firenze
Offelle alla milanese
Morcelletti di Napoli
Pagnottelle piene alla romana
Polpette piccole alla francese
Polpette involte alla romana

Ed ecco invece tutte le indicazioni che lo Stefani ci lascia per gustare alcuni ingredienti nelle loro migliori stagioni:

Capretto: ‘da inizio gennaio a metà febbraio e ad Aprile’.
Capriolo: ‘ in Inverno’
Coniglio: ‘da Decembre a Gennaio’
Lepre: ‘da Gennaio a Febbraio’
Pulcini:
‘sono molto gustosi nelli mesi di Maggio, e Giugno’.
Pollastri: ‘Saranno buoni i Pollastri, cominciando da Luglio per fino tutto Decembre, essendo in quella stagione molto grassi’.
Gallo d’India (Tacchino): ‘Giugno, Luglio & Agosto, riuscendo in questi tempi delicati, per essere piccioli, e teneri’.
Anatra: ‘ne’ tempi freddi è molto delicata, e gustosa à tutti, benche nel mese d’Agosto sii apprezzata assai più’.
Fagiano: ‘in Inverno’
Pernice: ‘Nelli mesi di Novembre, Decembre, Genaro, e Febraro, è la vera stagione delle Pernici. I loro figliuoli, chiamati pernigoncelli, sono buoni ne’ mesi d’Agosto, Settembre, & Ottobre’.
Quaglia: ‘Due sono le stagioni delle Quaglie, cioè nelli mesi di Luglio, & Agosto […] e nelli mesi di Genaro e Febraro’.
Tortore: ‘sijno pigliate nel mese di Luglio, quando mangiano il grano, perche in quel tempo sono molto buone, e gustose’.
Tordo: ‘pigliati di Genaro: ottimi son quelli che si nutriscono di bacche di ginepro, ò mortella’.
Beccafico: ‘Agosto e Settembre’.
Ortolano: ‘Li mesi di Settembre, Ottobre, Novembre e Decembre’. (4).
Trota del Garda: ‘il mese d’Ottobre, seguendo sino ad Aprile’.
Tinca: ‘le migliori sono quelle del mese di Maggio per tutto Giugno’.
Persico: ‘Questo Pesce è buono in ogni tempo, benche sia migliore nell’Inverno, ma nell’Estate per i convalescenti è ottimo’.
Dorata: ‘la sua stagione è nelli mesi di Marzo & Aprile’.

Lampreda: ‘Buonissime sono le Lamprede per trè mesi dell’anno; cioè dal principio di Marzo, per tutto Maggio’.
Tonno: ‘sia giovane e pigliato nelli mesi di Settembre, Ottobre e Novembre’.
Rombo: ‘dilicatissimo nei tempi freddi’.
Cefalo di Comacchio: ‘Settembre & Ottobre’
Cefalo di Venezia: ‘Luglio & Agosto’.
Calamaro: ‘In Estate’.
Ostriche: ‘Luglio e Agosto’.
Granseola: ‘Gennaio e Febbraio’.
Menta Romana: ‘Estate’.
Cardo Bianco: ‘da Novembre a Gennaio’.
Noci fresche: ‘da Luglio a inizio Agosto’.
Fiore di Salvia: ‘Maggio’

Altra importante prerogativa di quest’opera è la presenza in fine, per la prima volta nella storia della cucina a stampa, delle indicazioni per preparare degli ottimi pranzi di ‘Vitto Ordinario’. All’interno del capitoletto non troviamo la solita abbondanza di spezie ed esso è specificatamente pensato per dare la possibilità di mangiar bene anche a un ceto sociale che non è quello del Signore e della sua più stretta cerchia. Ovviamente si sta parlando di un menu studiato comunque per un ceto possidente che può acquistare carne, ma che non può certo sprecarla.

‘Il Vitto Ordinario di otto persone.
Pigliarai dodici libre di carne di manzo al giorno; averta il spenditore di pigliarne libre 6 di coscia & altre 6 libre a suo piacimento per fare il brodo. Per fare la minestra, se la vorrai di pasta ne pigliarai libre 3, se di riso altre 2 libre, se di farro libre 3. Quando havrai consegnata la carne alla cuciniera, di quelle 6 libre di polpa ne leverai una libra e meza per far polpette, l’altra la farai stufata ben battuta, con bastone o canella insproccandola con aglio, spolverizzata col rosmarino; ma pesto, e non intiero ad usanza degl’horti, e sale a portione, per questo li darai due oncie di strutto, overo butiro, e quello che più a te piace, ne gli metterai altra spetiaria, perché quando sarà cotto sarà buono, e se li vorrai pure aggiungere un poco di vin bianco l’inverno, e l’estate un poco d’agresta, ti riuscirà di gran soddisfatione, avertendo che sian ben coperte. Per far queste polpette, li darai 3 once di lardo, 4 oncie di formaggio grattato, 4 spighi d’aglio, un poco di persemoli, 9 oncie di pane, e per fargli fare un poco più crescimonia vi aggiungerai mezza libra di ricotta, due oncie di uva passa, un quarto di pepe, 4 uova, 2 per il corpo e 2 per l’indoratura, 3 oncie di strutto per cuocerle, et in questa compositione si faranno 16 polpette et altre 2 quali saranno per la cuciniera. La mattina mangiaranno la minestra, il terzo della carne che sarà alessa, e tutto il stuffato, la sera poi un’insalata conforme la stagione di due o tre soldi oncie una o due d’oglio conforme sarà la quantità dell’insalata, 3 oncie d’aceto, e poi le polpette, et il rimanente della carne alessa fredda o calda, conforme al loro gusto, tagliata in fette’.

(1) Vicaire, 803; Westbury, p. 208;  Cagle, 113. L’opera godette di buon successo e venne spesso ristampata nel corso del Seicento: la seconda edizione accresciuta è quella stampata a Venezia da Giovanni Giacomo Hertz nel 1666 mentre la terza edizione venne stampata a Milano da Giuseppe Marelli nel 1671. Le citazioni testuali nel corso dell’articolo sono tratte dall’ultima edizione secentesca dell’opera (Venezia, Curti, 1690).
(2)
Da notare che tutte le maggiori opere sul Maestro di Casa o sulla Scalcheria sono introdotte da capitoli similari in cui gli autori danno le specifiche necessarie e richieste per i singoli ruoli. Qui, per la prima volta, è un Capo Cuoco a farlo e difatti lo Stefani non prende in considerazione nessun lavorante che non sia strettamente collegato agli offici pratici di cucina, indagati a fondo invece dai vari Rossetti, Evitascandalo, Frugoli etc. etc.
(3) Per i più curiosi riportiamo integralmente la descrizione dello Stefani del banchetto approntato per Cristina di Svezia:

“Fu preparata la Tavola nella solita Camera Regia, detta la Camera delle Virtù, con ricchissimo Tappeto, r tovaglie doppie, stuccate dal Credentiere gentilmente. La Credenza ricchissima di Bacine, e vasi dorati, e le Bottiglierie cariche di vasi di cristallo legato in oro, fabricati con tanto magistero, che chi li rimirava restava pieno di meraviglia. Nel mezzo della Tavola s’ergeva un Trionfo fatto di zuccaro, ed era il Monte Olimpo, con l’altar della Fede, nella sommità del quale eran due puttini, che sostenevano una corona Reale sopra l’Arma di Sua Maestà; d’ambedue le parti della Tavola erano compartiti quattro vasi di Naranci con l’albero, frutti, frondi fatti di gelatina, quali haveano apparenza naturale frà un vaso, e l’altro, era una Galeria fatta tutta di zuccaro in buon disegno d’Architettura, e nella prospettiva d’ambe le parti da una parte dodeci colonne Corinthie, e dall’altra dodeci di Ionico, & in una di queste Galerie erano le Statue de primi Guerrieri, che nell’arte Militare fatto hanno opre di meraviglis, & anco con varie bizzarie d’Animali, come in tali Galerie soglionsi vedere. Nell’altra Galeria che vi erano li più virtuosi huomini, che sia stati al Mondo, & ambedue le Galerie erano simili d’architettura. Furono le Panatiere d’oro coperte con un copettore di sottilissime piegature, quello di Sua Maestà era in fomra d’un bellissimo Giglio: quello della Sereniss. Arciduchessa formava un’Aquila, e quello del Sereniss. nostro era in forma d’un Elmo con le piume fatte di detta piegatura. Avanti ogni portata di Sua Maestà, e Serenissimi, due Puttini fatti di zuccaro con una canestra trasforata, una era piena di Biscottini fatti alla Savoiarda, e l’altri Biscotti di zuccaro.

Primo servizio di Credenza
Fragole lavate con vino bianco, servite con zuccaro sopra, nel circuito dell’ala del piatto, Conchiglie fatte di zuccaro empite delle stesse Fraghe, tramezzate con uccelletti fatti di pasta di marzapane che del moto loro sembrano voler beccare dette fragole. Una suppa di piccioni grossi cotti in latte & malvasia, e cavati da quello, lasciati raffreddare, e con pane di Spagna facendo la suppa, imbeverata di malvasia, polverizzata di zuccaro, e cannella posti dentro li Piccioni, ben compartiti in forma di rosa, e sopra coperti con latte di pistacchi, tempestati tutti di pignoli, che erano stati imbeverati in acqua rosa, sopra l’ala del piatto vi era un rebesco di fiori fatto di pasta di marzapane tutto agghiacciato di zuccaro, e profilato d’oro essendo sopra un copertore di zuccaro sottilmente qual copriva il piatto sforzato e non arrivava al peso di due oncie. Un Pasticcio di Fagiano fatto al naturale qual’era tutto di pasta di marzapane, prima il Fagiano lardato minutamente, stato in adobbo nelle speciarie e cotto nello spiedo non intieramente, e questo feci, essendo la pasta di marzapane gentile, & agghiacciato sopra con un ghiaccio di zuccaro. Sopra l’ala del piatto dal lato dove pendeva la testa del Fagiano, vi erano Puttini che stavano sedenti, fatti di butiro, con grani d’uva fresca, tenendoli uno di quelli la testa, e l’altro li grani de la detta uva, parea che li ponesse nel becco di detto Fagiano, & altri Puttini con fettuccine di seta bianca, havendo legato le griffe del Fagiano con moto che parea le volessero attraere, e fra un Puttino e l’altro vi erano fiori di cotognata profilati d’oro. Coppe, ò Salami spaccati, serviti in una canestra tessuta di fiori naturali, e per di fuori vi erano lingue di Borlino spaccate, tramezzati con Salame muschiato, & intorno all’ala del piatto vi erano Lepri, Conigli & Cani, & li Cacciatori parevano che volessero far preda di quelli, e tutti erano di pasta di marzapane a porzione fatte. Gallinacci piccioli lardati minuti cotti allo spiedo, e posti in una cassetta fatta in ottangolo, sostentata da quattro Arpie, tramezzate con quattro Serpi: l’ala del piatto, era tutta coperta di mortella dorata, e di maggiorana: nel mezzo della cassetta vi era un Ercole quando sbranò il Leone, fatto di pasta di marzapane. Li Gallinaci furono serviti con un sapor di ribes, e Conserva di garofani freschi, stemprato questo sapore con malvasia dolce, & il tutto profilato con oro. Una testa di cinghiale cotta come di sopra, e d’intorno regalata con preciuto di detto cinghiale, sopra l’ala del piatto vi erano fette sottili del detto nella parte più grassa tramezzate con cavallieri a cavallo sopra l’orlo del piatto che con arme pareva volessero ferire detto cinghiale, & il detto capo o testa era ornata con una capigliatura di pistacchi mondi, havendo con mia gran patienza tessuti detti pistacchi con filo di zuccaro. Una Torta marzapanata, empita di varij frutti conditi con il suo comparto, distintione da un frutto all’altro, coperti che ebbi detti frutti con sfoglio marzapanato dov’erano brugne, e li feci brugne, di marzapane al naturale, e così dove erano, persichi, fichi, naranci, cedri, armille, e altri frutti, assegnando a ciascuno il suo frutto naturale di detta pasta di marzapane: sopra l’ala del piatto vi erano coroncine fatte in meza l’una, tutto di zuccaro riempite per dentro di gelsomini conditi. Galli di monte, che stavano in forma di Aquiloni, con le loro teste, code e griffe naturali, e l’ale fatte di pasta sfogliata riempite. Prima a i Galli di Monte fù battuto bene il petto di ciascheduno, doppo rifatti & illardati di conditi, posti nello spiedo, cotti a fuoco lento, & a’ piedi e griffe li posi un bastone di canella fina, cotti che furono, e freddi, li posi nel piatto, come di sopra, e d’intorno d’essi stavano Tordi cotti arrosto, posti in adobo in salsa reale, e questi l’accomodai, che stavano ritti in piedi parendo al naturale quasi vivi, li detti tordi erano coperti d’ova fillate, eccettuato il collo, e capo che parevano volessero distruggere gli Aquiloni, & il rimanente de’ piatto era coperto di dette ova, e il tutto profilato d’oro. Due corone fatte di gelatine, le quali corone coprivano i piatti di cedri freschi, limoni dolci, naranci della China, altri naranci bruchi e garbi, e questi frutti eran tramezzati con diversi animaletti scherzanti come Lucerte, Biscie piccole, Uccelletti, Lumache, & altri diversi Animaletti bizzari ma il tutto fatto di zuccaro e profilato d’oro.

Primo servitio di Cucina
Minestra di polpe di Fagiano, ristretta con latte di pistacchi, e seme di melone, stemprata con panna di latte, e succo di limone, servita in tazze di porcellana essendovi sotto sottilissime fette di pani di Spagna, e sopra un copertorino fatto, e cavato in un grosso cedro condito. Un piatto d’Ortolani cotti arosto, & in mezo al piatto una sommita che pareva un Monte, e ciascun’Oracolo era involto in ghiaccio di zuccaro, e d’intorno a questi uva fatta con pasta di pistacchi, e con un lustro sopra, che pareva al naturale, & i gamboli di quella erano d’uva fresca: nel circuito dell’ala del piatto vi erano Latti di Vitello cotti nello spiedo, e sopra serviti con pan grattato, zuccaro, e cannella, tramezati con Tomacelle fatte di fegati di cappone, midolla di Bue, cascio Parmigiano, pasta di marzapane, condito grattato, speciarie, & altri ingredienti, intrecciate con pasticcini, pignoli, fatti di pasta di marzapane, empiti conditi, midolla, pistacchi piccati, rossi d’ova e zuccaro, con un poco di polvere di cannella fina. Una suppa reale fatta di cantucci di Pisa, tramezati, li cantucci con fette di cascio grasso, e fette di zuccata, armata tutta con lancette di petto di cappone, e sopra una piccata di polpa di Fagiano, adornata con latticini fritti in butiro, occhio di Vitello ripieni, calli di Vitello tagliati in sottilissime fette: la suppa fù insuppata con brodo grasso di cappone, e pana di latte con spremergli sugo di limone, e sopra un copertore di pasta fina, intagliato con la punta del coltello. Capponi cotti in bianco prima purgati nel latte, e poi finiti di cuocere nel brodo, e questi li servij in salvietta con corone fatte di cedro d’intorno e con sale. Intrecciate queste corone con tazzette picciole di porcellana, parte piene di salse verdi, e parte bianche, e sopra tutte le tazzette vi era un copertorino di pasta messo tutto a oro. Una coscia di Cinghiale cotta in brodo lardiero, & intorno bragiole dell’istesso, accomodate in adobbo come di sopra, e l’ala del piatto fornita con Lodole piena cotte arrosto, state poi in adobbo in una salsa reale, tramezzati con fiori di pasta di Genoa, tempestato il piatto di ciramomi muschiati, e nel mezo del Coscietto stava un Cacciatore fatto di pasta di marzapane, con un’arma d’hasta nelle mani, qual stava in cotal modo, che pareva volesse assalire detto Cingiale per ferirlo, e della ferita n’usciva liquore di mele granate. Teste di vitello cotte nel latte, tramezzate con teste di capretti ripieni, adornate con cavoli fiori, tartuffole, e fegattelli di capponi fritti in butiro tempestato tutto il piatto di pistacchi, ma le lingue delli vitelli erano lardate tutte di cedro condito e nel mezzo del piatto dove erano le Teste, vi era un Macellaro intagliato, fuori d’un pezzo di cascio lodigiano, facendo moto di scorticare dette Teste. Pasticcio fatti di petto di pernici fatti di Vitello, midolla di Bue, uccelletti di Cipro, Bragiolette di petto di capone, tartufole, le sue speciarie et altri ingredienti; li Pistacchi erano fatti in ottangolo, in ogni facciata v’era l’arma di quella Maesta, nella sommità di cadauna era le sue balaustrate fatte di pasta, sopra il coperchio del Pasticcio erano Puttini, che stavano in forma di danzare e ne’ vacui degli ottangoli per riempimento del piatto, erano fiori di pasta reale fatti al naturale, e fù servito con zuccaro sopra. Polastrelli piccioli empiti tra carne, e pelle, e poi sottestati in butiro, havendo aggiunto salsa fatta in fiori di salvia condito, & intorno al piatto Tordi stuffati in malvasia, con dentro vaghi di Ginepro, midolla, e speciarie, tramezati con uccelletti di Cipro fritti in butiro, & adornati con fiori di pasta sfogliata, & in cambio cuocerla nel forno, la feci friggere in butiro, & il resto del piatto con fette di limone, tutto tempestato con moscardini fatti di zuccaro con odore d’ambra.

Secondo servitio di Cucina
Fagiani, ma non lardati, ma volti in carta onta di butiro, polverizati con sale, cotti nello spiedo à fuoco lento, e questi furono serviti con salsa di limone, e zuccaro, adornati con quaglie arosto, e sù l’ala del piatto vi era un Rabesco tutto fatto di gelo di cotogno con frutti al naturale & uccelletti intagliati fuori da conditi di cedro, e tutti li strafori del Rabesco erano empiti di piccata di pistacchi, fù servita Sua Maesta con una tazzetta di porcellana con dentro gelatina color d’ambra col medesimo odore. Tortore attortorate cotte nello spiedo à fuoco gagliardo; queste furono servite con salsa di mele granate, essendo adornato il piatto con naranci di pasta frolla, empiti di midolla, petto di cappone piccato, condito pasta di marzapane, pignoli amaccati, & intrecciati con pasta Tedesca, fette di cedro, zuccaro sopra e cannelloni confetti.

Terzo servitio di Credenza [Cucina, n.d.R.]
Una coscia di Daino con tutta la lonza cotto arosto, sopra fù servita con una salsa di cappari, cedro grattato, aceto di malvasia, adornato con polastrelli piccioli avvolti in rete d’animale, adornata l’ala del piatto con fogliami di pasta sfogliata tramezzati con rosette fatte di persicata; nella cima della coscia vi era un Corno fatto di caviale, che con griffe e rostro pareva volesse divorare detto Daino. Francollini cotti nello spiedo a fuoco lento serviti sopra con salsa reale, & havevano teste, colli, & ali con loro penne naturali: nell’ala del piatto vi era un rabesco di pasta di marzapane fatto di bassorilievo, con Uccellatori, che pareva volessero fare preda di detti volatili, e tempestato il piatto di quadretti fatti di zuccaro di colore di corallo, fabricati con varie soavità d’odori. Un Gatiò fatto di pasta sfogliata à guisa d’un Sole, empito tutto di cappone pestato, passato per setaccio, stemperato con panna di latte, midolla piccata minuta, pistacchi amaccati, latti di Vitello cotti prima nel latte, rossi d’ova fresche. Cotto, fù servito con zuccaro sopra; & in mezo de’ raggi del Sole nell’ala del piatto, vi era un mischio di fiori freschi ben compartiti, che sembravano l’aria. Pernici arosto, servite sopra una salsa d’aceto fatta con fiori di Gelsomini, e dentro fiori conditi di detti Gelsomini: l’ala del piatto ornata con festoni di pasta di marzapane, con varij frutti tutti al naturale, e frà un festone e l’altro vi era una Rosa cremese condita, e ne’ i vacui dell’ala del piatto vi erano vaghi di pomo granato: fù servita similmente Sua Maestà in una tazzetta di porcellana con Gelatina bianca, con odore di fiori di cedro. Lepre cotte arosto, tutte lardate di condito, e sopra furono servite con salsa reale, aceto di fiori di rosmarino, & adornati con Ucelletti grassi cotti arosto, regalata l’ala del piatto con Pasta siringata, intrecciata con cannelloni confetti, tramezzata con fiori di cotognata, & salvia fritta ma non imborrachiata, e con fette di limone. Piccioni grossi cotti arosto e sopra una crostata di zuccaro e canella e caricata tutta l’ala del piatto di pasticcini in bocconi alla Genovese, tempestato tutto di cinamomi confetti: nel mezzo del piatto vi era una statua fatta à guisa di contadina, e fatta di pasta di marzapane con una canestra in capo con dentro duoi colombi, maschio, e femina, fatto il corpo di pasta di marzapane, ma le piume naturali.

Secondo Servitio di Credenza
Suppe di Brugnuoli
Tartuffoli, Cavoli fiori insieme
Ostriche
Granceole
Sparagi
Carcioffi
Uva fresca
Pere Bergamotte
Marzolini
Cascio Parmigiano
Finocchio
Silari
Pomi
Olive
Latte miele
Bianco mangiare
Tutti li frutti furono adornati con fiori freschi, e foglie di lauro dorate, e tutte le salviette profumate con polvere di Cipro dove erano poste.

Terzo Servitio di Cucina
Levati chè furno li frutti, e la prima tovaglias fù posto nel mezo della Tavola un cipresso tutto fatto di zuccaro, e dagl’altri capi furono compartiti quattro vasi di zuccaro di quelli che si sogliono porre sopra li Tavolini con dentro mazzi di rose fatti similmente di zuccaro, e tutti profilati d’oro, e trà un vaso, e l’altro, vi era un’Arco similmente di zuccaro sostentato da quattro colonne e nel mezo vi era Giove fulminante con l’Aquila à piedi. Nell’altr’arco vi era similmente un Marte con l’arma alla mano.

Poi furono poste le seguenti confetture e conserve.
Bacili di conserva di Ribes
Bacili di conserva di Cedro
Bacili di conserva di D’Armille
Bacili di conserva di Cerase
Bacili di conserva di Agriotte
Bacili di confettura bianche grosse da sei alla libra
Bacili di confettura bianca picciola, d’odore d’ambra
Bacili di Persicata
Bacili di pistacchi mondi
Bacili di Gelo Cotogno
Bacili di Cedro condito
Bacili di cannelloni confetti
Bacili di pere condite
Bacili di mostaccioli reali
Bacili di pignoli lisci muschiati

(4) L’Ortolano è un uccello della famiglia degli Emberizidi. Questa specie rimane, nonostante le leggi vigenti che ne vietano la cattura dal 1999, una prelibatezza gastronomica del sud-ovest della Francia, in particolare dell’Aquitania. Essi vengono catturati vivi con reti apposite, fissate durante il volo migratorio autunnale verso l’Africa; vengono quindi tenuti in piccole gabbie o scatole, coperte da un telo. Questi uccelli reagiscono all’oscurità della gabbia rimpinzandosi di grano, e vengono solitamente nutriti con semi di miglio bianco fino a raddoppiare la loro mole. Gli ortolani adeguatamente ingrassati vengono quindi annegati nell’Armagnac e successivamente in questa acquavite marinati, con l’aiuto di specifici contenitori. Una volta terminata la marinatura, l’uccello viene arrostito e spennato. L’ortolano viene quindi mangiato intero, comprese le viscere e l’Armagnac ancora presente nei polmoni, tenendolo per la testa (o per il becco), sputando poi le ossa più grandi. Tradizionalmente i buongustai francesi usano coprirsi la testa e il viso con un tovagliolo o un fazzoletto mentre consumano l’uccello. Il motivo di questa usanza è discusso, alcuni sostengono che serva a godere al massimo degli aromi sprigionati mentre consumano tutto l’uccello in una volta, altri hanno suggerito che serva a celare l’operazione di rimozione delle ossa dalla bocca. Un terzo significato meno pratico e più spirituale vorrebbe che il fazzoletto serva a “Nascondersi dagli occhi di Dio per la vergogna di una tale disonorevole e deprecabile crudeltà” (fonte Wikipedia). Lo Stefani consiglia: ‘Molte cotture può haver quest’uccelletto; prima si cuoce arosto con fuoco gagliardo: In caraffe di vetro; in gusci d’ova, cotto à fuoco lento; cioè unendo insieme un guscio rotto, che viene à formar l’ovo, cucinandolo nell’istessa maniera, come si cambrasse un’ovo, che così s’haverà quel detto: Tu sei cucinato nel tuo grasso. Et in questo modo cucinati, si servono à Convitati in quella forma istessa che si servono le ova fresche; cioè in mezzo alle salviette, avertendo di ontare il guscio con butiro, polverizzando con sale, zuccaro e canella’ (p.41).

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