I Pranzi di Natale del ‘Boccafina’

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L’anno scorso, in settembre se non ricordiamo male, vi abbiamo fatto conoscere un particolarissimo testo di Gastronomia: Il boccafina ovvero il gastronomo avveduto (edito postumo da Casini nel 1968), di quel bizzarro e multiforme ingegno che fu Riccardo Morbelli. L’opera come da aletta anteriore ‘è un viaggio affascinante e tentatore attorno allo stomaco, un lunario di imprevedibile e succulento interesse per i ghiottoni di tutte le età e di tutti i paesi, arricchito da un dizionario dall’A(glio alla Z(uppa), che si deliba con tutti i cinque i sensi ed esalta ogni fantasia gastronomica. Un compendioso, esattissimo, atlantino dell’Italia a tavola…’ e noi siamo d’accordissimo!

Riccardo Morbelli (da wikipedia)
Riccardo Morbelli (da wikipedia)

Dall’opera vi proponiamo il capitolo ‘Pranzo di Natale’, dove sopravvivono antiche e gastrofolkloriche tradizioni!

Esso varia da regione a regione, si può dire da paese a paese; ma la sostanza non si discosta molto, tenendo presente che col termine di ‘pranzo natalizio’ si intende incluso anche il cenone della vigilia, che è ‘di magro’. In Piemonte, anzi, si estende anche al pranzetto di Santo Stefano, terzo della sequenza gastronomica che si ispira alla nascita del Bambino Gesù: a mezzanotte del 24 dicembre devono essere presenti le pezze per fasciarlo (lasagne di pasta fatta in casa, condite con noci pestate e olio); a Natale il pipì (brodo di cappone); e a Santo Stefano la popò (agnolotti confezionati con gli avanzi di carne del giorno prima). Di rigore, col cappone, la mostarda di Cremona, il panettone di Milano, il torrone di Benevento, la frutta secca, i mandarini.

Quanto detto per il Piemonte vale press’a poco per la Lombardia, dove ai ravioli in brodo di cappone segue (retaggio della dominazione austriaca) il tacchino ripieno (e il ripieno è fatto di carne, salsiccia, castagne, formaggio, tartufi e… chi più n’ha, più ne metta!).

Nel Veneto è di prammatica per il cenone della vigilia il ‘bisato sull’ara’ (anguilla cotta sulla graticola a fuoco vivo) con contorno di radicchio rosso di Treviso – insalata buona e decorativa che, date le facili vie di comunicazione, è ormai presente su tutte le mense natalizie della Penisola. Come in Lombardia, anziché il cappone, a NAtale, funge da mattatore la ‘dindieta’, tacchino femmina giovane.

Il Veneto è forse l’unica regione dove il cappone, alla fine di dicembre, non senta accapponarsi la pelle per la sua prossima fine. Infatti, riprendendo il nostro periplo natalizio, eccoci in Liguria, dove ‘Nadal senza cappon – Nadal ninte bon’. Questo è l’unico giorno dell’anno in cui non si mangia ‘pesto’; entrano in ballo le lattughe ripiene di uova battute, formaggio, carne tritata, in brodo con il ‘guazzetto’; e, a chiusura, il famoso ‘pandolce’ che – al paragone del soffice e leggerissimo panettone ambrosiano – sembra un blocco di piombo. Confezionato con farina integrale non lievitata, impastata con miele e frutta secca triturata; il tutto, passato sotto una grandinata di pinoli. Questo è il dolce natalizio tipico in Liguria, come in Toscana è d’obbligo il panforte di Siena: il resto è facoltativo, si tratti di capponi, ravioli, polli alla diavola…

In Umbria e nelle Marche, a Natale, si fa strage di pesce, specie nel famoso ‘brodetto marchigiano’; né può mancare il capitone che è di rito per la cena della vigilia, così come per il pranzo è di prammatica il maialino, cotto intero al forno e condito con rosmarino, aglio e spezie varie. Per i dolci, ecco le ‘pinoccate’ e i ‘torcoli’ (ciambelle con pinoli e semi d’anici.

Sette minestre si mangiano in Abruzzo nella grande cena di Natale dopo il digiuno (che guai a non farlo: mena gramo!). La prima è di lenticchie (portano denaro); la seconda di fagioli (portano salute); la terza di ceci bianchi; la quarta di favetta; la quinta di cavoli neri; la sesta di riso cotto nell’acqua di mandorle; la settima, che è poi pastasciutta, consiste in maccheroni conditi con sarde fritte o con spuma di noci pestate e bollite. Devono essere presenti sulla mensa i sedani, i cardoni dell’Aquila e, a fin di tavola, certi tipici dolci: i ‘cervoni’ al cioccolato, i ‘taralli’, le ciambelle alla mandorla.

Piatto natalizio tipico dell’Emilia, inutile dirlo, sono i tortellini che, come il panettone milanese, costituiscono un piatto non soltanto nazionale, ma internazionale. E il dolce di prammatica è il ‘pan speziale’ detto anche ‘Certosino’.

Per il Lazio facciamo tappa logicamente a Roma, dove il cenone della vigilia assume un’importanza tale, che in vista di esso, l’antivigilia è tutta dedicata al ‘cottio’, o mercato grande per la vendita del pesce e del capitone – grossa anguilla che rappresenta il serpente demoniaco, mangiato il quale si può celebrare degnamente la nascita del Divino Redentore. Riassumendo: capitone, broccoli fritti e spaghetti con le alici. Indi tombola, con la partecipazione di tutta la famiglia (fungono da fiches i fagioli secchi). L’indomani, ‘gallinaccio brodettato’ messo in casseruola con prosciutto, cipolla, tuorli d’uovo e vino dei Castelli.

Se il capitone a Roma è un rito, a Napoli e in tutta la Campania è un dovere! La gente del popolino impegna pure il materasso pur di non restarne priva. L’argomento si presta al ‘colore’, e noi – come è nostro costume – vi rinunziamo. Troppe descrizioni della vigilia natalizia ci hanno lasciato Matilde Serao, Salvatore di Giacomo e Marotta. Quante ‘bancarelle’ adorne di festoni! Quanti gridi di venditori; dal ‘maruzzaro’ al venditore di vongole, e di paste reali, mostaccioli e struffoli, tipico dolce del Natale partenopeo!

Anche in Calabria, abbondantissima è la cena della vigilia (vermicelli, pesce e fritture varie, frutta) coronata dalla ‘pignolata’ ricca di confetti multicolori. Il ‘clou’ del pranzo di NAtale è costituito dalle ‘sagne chine’: lasagne a strati, imbottite in alterno con pezzi di uova sode, mozzarelle, polpettine, battuto di cipolle, sedano, funghi, il tutto condito senza economia con formaggio pecorino e sugo di carne.

Nelle Puglie, ‘Chi non fasce u’ desciune de Natale – o è turche o animale’ e si usa avere alla mensa ‘i parenti morti’ rappresentati dai poveri. Questa cena, simpatica e commovente perché – dicono – ‘la carità è la pietanza più buona’, vede sul desco le lasagne con alici fritte, maccheroni con ricotta, broccoli con salsa di pomodoro. Per dolci, il ‘latte di mandorle’ e la ‘palomba’, una ciambella ornata di mandorle tagliate in quadrettini.

Per la Novena di Natale in Sicilia si ‘parano’ i negozi con presepi fatti di burro, pupazzi di fichi secchi, teste di vitello infiocchettate. Il cenone della vigilia è, si può dire, fatica particolare dello ‘sfinciaru’ che, nella sua friggitoria ambulante, prepara i ‘panelli’ (formette di poltiglia di ceci), broccoli, sarde ‘a beccaficu’ (ripiene di pane grattugiato e torrefatto, di zucchero, cannella, uva passa, pinoli, e intramezzate di folgie d’alloro). In famiglia si cucina invece l’anguilla marinata e i ‘curii’ (strisce di pesce spada salato). Dolci caratteristici, i ‘mustazzoli’ e i ‘petrafènnula’ duri come pietre, ma gustosissimi per il loro impasto di mandorle e miele. A fin di cena si gioca ‘a nocciole’, e chi più ne vince più sarà fortunato nell’anno che verrà. Il pranzo di Natale si apre con un piatto di lasagne, cui segue la ‘nuzza’: una tacchina imbottita di riso, uova, cacio, salame.

Da qualche anno la Sardegna è diventata il centro del turismo italiano. Recatevici a Natale, e anziché il solito cappone gusterete il prosciutto di cinghiale, il porchetto di latte, l’agnellino allo spiedo, e degusterete la ‘pabassina’ e le ‘caschettas’ i due tipici dolci a base di mandorle, innaffiando il tutto con l’autentica vernaccia di Solarussa.

E voi cosa ne dite? Vi ritrovate in qualcuna di queste splendide tradizioni o sono già irrimediabilmente perdute? Comunque Buone Feste dal Garum, il BiblioMuseo della Cucina!

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