Il Ghiottone Errante, le Fettuccine e Maestro Martino

Articolo

Dalla collezione del Garum oggi vi proponiamo un classico del Novecento, un vero precursore delle Guide gastronomiche:

Paolo Monelli
Il ghiottone errante. Viaggio gastronomico attraverso l’Italia… Milano, Treves, 1935

Seconda edizione riveduta e corretta. Il Ghiottone Errante nasce come raccolta di articoli commissionati da “La Gazzetta del Popolo” di Torino, da sempre giornale d’avanguardia nel campo della gastronomia – ricordiamoci che il 28 dicembre 1930 aveva pubblicato, a piena pagina il Manifesto della cucina futurista – sull’onda di una moda che negli anni Trenta prende corpo, originata probabilmente dalla traduzione italiana della Guida spirituale delle osterie italiane da Verona a Capri del tedesco Hans Barth. Monelli – autore del testo – e Novello – l’artista che illustrò con 94 disegni in ocra l’opera – girano l’Italia per stilare questo viaggio enogastronomico e “la pubblicazione dà vita al primo viaggio gastronomico della storia, un vivace volume che ancora oggi conserva tutto il suo fascino” (Cucine della Memoria); “Oggi, mentre gran parte di giornali e riviste contano un critico gastronomo, pronto ai viaggi e alle scoperte, un itinerario come quello del duo Monelli-Novello sembra cosa ovvia.

Monelli, Il Ghiottone Errante, 1935
Monelli, Il Ghiottone Errante, 1935

Allora fu novità assoluta, presentò, in forma dilettevole, aspetti della cucina di casa, che molti avevano sotto agli occhi, senza vederli, appunto perché considerai cosa non degna di attenzione. Monelli seppe spiegare, ‘umanisticamente’ cos’erano il ligure vitello all’uccelletto, le quaglie di melanzane, e il falsomagro di Sicilia, la crescenta modenese coi fichi neri… Un Viaggio in Italia che dà, anche per merito dei disegni di Novello, aderentissimi al testo, l’immagine di un paese ancora bonario, patriarcale, fedele a vizi e virtù antiche, appena nascoste sotto la rapida verniciatura di modernità e di clima eroico voluti dal fascismo: una Italia sincera, che Monelli riesce a rintracciare a Sottoripa, nella fiorentina via dei Porcellana, o nei vicoli trevigiani dove i veri uomini ‘vanno per ombre’, ossia passando da un’osteria all’altra, sorseggiando un bicchiere di foresto nero o di Verona” (Massimo Alberini, Storia del pranzo all’italiana, 1966, p. 253).

Diamo un’occhiata a come Monelli racconta le Osterie romane dell’epoca:

“Sappiamo bene; questa cucina [quella romana, n.d.R.] seduce anche i difficili palati degli stranieri; ed avviene che questa o quella osteria romana acquista una clientela eccezionale, diventa luogo celebrato di qua e di là dal mare, gonfia i prezzi e mette sulla lista manicaretti delicatissimi (batte il mio cuore, oggi, il ricordo di un filetto di tacchino maestoso; illuminò di giallo la sala, quando giunse, tanto splendeva quella fetta lunga e succinta nel gentile colore dell’insalatina; e fu in bocca succo di paradiso). Ma il fondamento di quella cucina è pur sempre qualche specialità popolare, schietta, che l’astuto trattore impone alla schifiltosissima clientela con nomi epici (“Fettuccine al doppio burro maestose”, per esempio) e con la pasquinata di riti e gesti allucinanti.
Ecco, una coppia esotica ha ordinato proprio quelle fettucine; e il cameriere le ha deposte or ora sulla tavola vicina. Compare il trattore, baffi e pancetta da domatore, impugnando una posata d’oro; e si avvicina al piatto delle fettuccine. La musica tace, dopo un rullio ammonitore che ha fatto ammutolire anche i clienti in giro. Il trattore sente intorno a sè un’aureola di sguardi. Alza forchetta e cucchiaio al cielo, come per propiziarselo; poi li tuffa nelle paste, le sommuove con un moto rapido, matematico, il capo inclinato, il respiro trattenuto, il mignolo sospeso. Due camerieri, impalati, assistono al soglio. Pesa intorno il silenzio. Finchè la musica scoppia in un allegro brio, il trattore ripartisce le porzioni, poi va a riporre la posata d’oro e scompare.
Non lo vedrete più che in un turbine di fiamme, nel buio improvviso del locale, più tardi, quando la coppia esotica si sarà lasciata persuadere ad ordinare una frittatina dolce; ma allora al suono di una banda guerriera egli balzerà come per miracolo nella stanza oscura aizzando con la forchetta d’oro fiamme azzurrine dal piatto che ritmicamente ondeggia” (pp. 128-130).

Novelli, Il Ghiottone Errante, 1935
Novelli, Il Ghiottone Errante, 1935

Sebbene Novelli non faccia nomi, apparirà abbastanza chiaro ai lettori più attenti che la scena dipinta in queste pagine non può che essersi svolta nell’osteria del mitico Alfredo di Lelio! Quello che, invece, i più non sanno è che, in versione burro e formaggio, le leggendarie fettuccine di Alfredo erano già presenti nel Libro De Arte Coquinaria di Maestro Martino

Eccovi la ricetta De Macharoni Romaneschi, nella versione testuale del Libro de Cosina conservato presso l’Archivio Comunale di Riva del Garda:

De Macharoni Romaneschi, Maestro Martino
De Macharoni Romaneschi, Maestro Martino

Che in italiano moderno suona:

“Per fare i maccheroni alla romana prendi della farina che sia molto bella e provvedi a stemperarla con l’acqua, facendo una pasta un po’ più grossa rispetto a quella delle lasagne.
Avvolgi la pasta della larghezza di un dito piccolo, ma che rimanga in strisce sottili, ovvero di un laccio. Metti poi a cuocere i maccheroni nel brodo grasso, o nell’acqua, se vorrai prepararli da grasso o da magro. Quando li metterai a cuocere il brodo o l’acqua dovranno bollire. Se verranno cotti, riponili su un piatto con del buon formaggio, burro e spezie dolci”.

Cucine della Memoria II, p. 443; A. Capatti, Lingua, regioni e gastronomia dall’Unità alla Seconda guerra mondiale, in Storia d’Italia. Annali, 13, pp. 781-782; Massimo Alberini, Storia della Cucina Italiana, 1992, p. 288-289. Riguardo al manoscritto di Riva del Garda vedasi Aldo Bertoluzza, Libro di Cucina del maestro Martino de Rossi. Trento, Edizioni U.C.T., 1993.

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