Prima ricetta del pesto, fake news e plagi!

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Notizia shock: la prima ricetta conosciuta del pesto alla genovese a stampa risale ‘soltanto’ al 1863! La troviamo infatti nella prima edizione de La Cuciniera Genovese ossia la vera maniera di cucinare alla Genovese di Giovanni Battista Ratto. Chiaramente, però, sappiamo che il pesto è già considerato un condimento tradizionale in quell’epoca ed è, senza dubbio alcuno, fortemente imparentato con le varie agliate e salse verdi rinascimentali. Non vi deve stupire che la tradizione del pesto non vada più indietro nel tempo, infatti uno degli ingredienti fondamentali dell’immortale salsa, il basilico, ha storia gastronomica solo a partire dal 1549, anno in cui esso appare per la prima volta in una ricetta a stampa e più precisamente nella prima edizione dei Banchetti di Cristoforo da Messisbugo!

Difatti fra le varie erbe odorose che ritroviamo frequenti nei ricettari italiani del XIV, XV e XVI secolo il basilico non occupa assolutamente una posizione di rilievo, sembra anzi rivestire un ruolo del tutto marginale nelle ricette ed è presente solo in alcune preparazioni di sapori.
La prima testimonianza ci viene dal più antico testo di cucina italiana redatto in lingua latina (Bibliothèque Nationale de Paris, Ms.7131+9328) databile verso i primi anni del XIV secolo dove si parla di una salsa per arrosti composta da basilico e pepe pestati assieme nel mortaio con l’aggiunta di agresta o di succo di cetrangoli o lomìe (ricetta 65). La stessa preparazione sembra esser stata recepita da quell’anonimo meridionale autore in volgare del manoscritto conservato presso una biblioteca privata di Stoccolma dove al cap.52 tale salsa viene riproposta in termini del tutto simili. Nessuna traccia di basilico ci è dato rintracciare nei due testi di Maestro Martino e del Platina dove per contro ritroviamo citato il basilico per le sue proprietà medicamentose ma non ricordato per insaporire salse o sapori:

Ritratto di Cristoforo da Messisbugo
Ritratto di Cristoforo da Messisbugo

“Il basilico si semina di primavera mentre d’estate si mettono a dimora le pianticelle… Secondo il medico Crisippo [come riportato da Plinius, XX, 119] il basilico ha effetti dannosi, fa male allo stomaco, nuoce alla vista, provoca la pazzia, non giova al fegato […] se poi si copre con una pietra una certa quantità di basilico tritato, ne nascono scorpioni; se si mastica e si espone al sole, fa venire i vermi e alimenta i pidocchi. Gli Africani dicono persino che se qualcuno è morso da uno scorpione il giorno in cui abbia mangiato del basilico, non si sottrae alla morte in alcun modo. Si è tuttavia constatato che queste sono tutte fandonie, poichè le capre mangiano il basilico, il cervello di chi lo fiuta non va soggetto ad alterazioni e un po’ di basilico messo in vino o aceto è semmai un medicamento per le ferite provocate dagli scorpioni, sia di terra che di mare. Si è anche riscontrato che giova farlo fiutare in aceto a chi sviene. Asserisce Galeno [De alimentorum facultatibus I, 56] che lo scorpione gode moltissimo di starsene vicino allo stelo di questa pianta, della quale gradisce quanto mai l’odore. In ogni caso conviene usarlo con moderazione per via della forza eccessiva che proviene dal suo calore” [De honesta voluptate, lib.III, cap.76].

Nel XVI secolo il primo a proporre il basilico in una preparazione fu quindi proprio Cristoforo da Messisbugo nella sua Salsa Verde d’Agresto:
“Piglia prassomeli, finocchi freschi, basilico, mollena di pane mogliata in agresto, e pesta bene ogni cosa insieme; e poi distempera con agresto” (c. 87r), che in termini attuali possiamo tradurre: “Prendi del prezzemolo, finocchi freschi e della mollica di pane bagnata con succo d’uvaspina e pesta bene il tutto stemperandolo poi con succo d’uvaspina”. Ancora il Messisbugo lo inserisce anche nella sua salsa d’Agresto cotto e nell’Agliata sopra pesci, rane, lumache e altro simile. Il basilico verrà dimenticato poi dallo Scappi nella sua monumentale Opera (Venezia, Tramezzino, 1570) e riproposto dal Romoli, di nuovo da utilizzare per una salsa di tipo Agresto (Singolar dottrina dello Scalco, Venezia, Zanetti, 1598, Lib.V, cap.135) per poi diventare ingrediente di uso comune a partire dalla fine del Seicento!

Terminato il lungo e doveroso excursus storico, torniamo al nostro Giovanni Battista Ratto ed alla sua prima ricetta a stampa del Battuto o savore all’aglio (Pesto):

“Prendete tre o quattro spicchi d’aglio, basilico (baxaico), e, in mancanza di questo, maggiorana (paersa) e prezzemolo (porsemmo), formaggio d’Olanda e parmigiano grattugiati e mescolati insieme, e pestate il tutto in mortaio finchè sia ridotto in pasta. Scioglietelo quindi con olio fino, in abbondanza. Con questo battuto si condiscono le lasagne, i tagliolini e i gnocchi (troffie) unendovi anche un po’ d’acqua calda senza sale per renderlo alquanto più liquido”.

Cosa ne dite? Per inciso, i termini in genovese fra parentesi non sono opera nostra ma appartengono al testo originale che era corredato anche da un comodo e gustoso Dizionario Genovese-Italiano curato da Giovanni Casaccia. La fortuna del ricettario del Ratto fu enorme ma non le mancarono feroci detrattori (o furbi competitor): due anni dopo infatti, nel 1865 Emanuele Rossi diede alle stampe il suo La vera Cucina Genovese facile ed economica, avvertendo il lettore che
“è stato pubblicato bensì di recente un libro che s’intitola la Cuciniera Genovese; ma esso non ha potuto che in parte soddisfare il bisogno; perocché, quantunque coscienziosamente compilato dal sig. G.B. Ratto, tal libro è troppo succinto per potersi adattare alla intelligenza dei più ignari nei segreti della cucina”.

Non so voi, ma io sono ben curioso di confrontare il pesto del Rossi con quello del Ratto… Ed allora ecco qua la ricetta del Pésto d’aglio e basilico:

Antiporta, G.B. Ratto, Cuciniera Genovese
Antiporta, G.B. Ratto, Cuciniera Genovese

“Mettete in un mortajo tre o quattro spicchi d’aglio mondati, alcune foglie di basilico fresco, o conservato nell’olio, un poco di formaggio d’Olanda e parmigiano, grattati e mescolati insieme, e pestate il tutto finchè l’abbiate ridotto ad una pasta, la quale scioglierete allora con ottimo olio in abbondanza. Con questo pésto si condiscono le lasagne, i taglierini e gli gnocchi, unendovi prima qualche cucchiajata d’acqua bollente, di quella in cui si sarà fatta cuocere la pasta, a fine di renderlo più liquido”.

A me non pare meno ‘succinta’ di quella proposta dal Ratto né diversa, neanche lessicalmente. Filologicamente parlando appare come un testimone più tardo di un’autorità precedente!

Nota bene: in rete potete trovare facilmente notizie molto fuorvianti sulle prime ricette conosciute del pesto, con una grossa confusione fra date, edizioni e autori. A titolo d’esempio la stessa Wikipedia, universalmente nota come fonte dell’universale sapere, attribuisce la paternità della ricetta a Emanuele Rossi, citando una fantomatica edizione de ‘La vera cuciniera Genovese’ del 1852… Non credo, inoltre, che serva rimarcare che tutte le opere citate in questo articolo sono esposte al Garum, il BiblioMuseo della Cucina!

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