La prima ricetta del Caviale

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Nel 2018 venne resa pubblica su Plos One una magnifica nuova scoperta archeologica: analizzando, infatti, i resti di una scodella di terracotta, ritrovata presso un insediamento tardo-mesolitico nelle vicinanze di Friesack in Germania e databile al 4.000 a.C. (1), vennero rinvenute tracce del pasto che vi era stato preparato. Tali tracce, analizzate con i più moderni metodi di laboratorio dal Max Planck Institute ci restituiscono una ricetta a base di uova di pesce. Insomma, anche i nostri progenitori amavano il caviale e ben prima che diventasse uno status symbol!

Sebbene quindi gustato sin dall’antichità preistorica dobbiamo però aspettare la metà del Cinquecento per avere la prima ricetta a stampa del caviale. Infatti, pur se ben conosciuto anche da Maestro Martino, che ne lascia una preparazione – piuttosto grezza – nel suo manoscritto (2), essa non viene riportata dal Platina nell’edizione a stampa del suo De Honesta Voluptate ac valetudine. Sarà il grande Scalco di Ferrara Cristoforo Messisbugo il primo ad inserire nei suoi Banchetti del 1548 una dettagliata e raffinatissima ricetta per preparare il caviale, che vi riportiamo integralmente:

Frammento di ceramica mesolitica, foto di Shevchenko et Al. CCBY
Frammento di ceramica mesolitica, recante tracce di uova di pesce. Foto di Shevchenko et Al. CCBYSA 4.0 (Plos One)

“Piglia l’ova dello sturione, e come più sono nere sono migliori; e distrigale su una tavola con la costa del coltello, nettandole bene da quelle pellegate; e pesale, e per ogni libbre 25 d’uova, gli ponerai oncie 12 e mezza di sale, cioè oncia mezza per libbra d’uova. Poi le ponerai in un vaso con il sale e le lasciarai così per una notte. Poi averai una asse nuova, polita, longa piedi 3 e larga piedi uno, colle sponde di legno intorno inchiodate, alte tre buone dita. Poi piglierai le dette uova e le ponerai su la detta asse. E le ponerai nel forno che sia onestamente caldo, per spazio di due pater nostri; poi le caverai fuori e le mescolarai molto bene con una palettina di legno e le ponerai un’altra volta nel forno, lasciandogliele com’è detto di sopra. E andarai così facendo sino che seran cotte; e questo serà quando le uova non schiopparanno sotto il dente, e che seranno mancanti quasi il terzo. E bisogna bene avvertire a questa cottura, perché per conservarlo uno anno o due farai di questa maniera: lo porrari in Vasi di pietra bene invitriati, con un poco di olio di sopra, in loco fresco. E quando serà gran caldo, per ogni vinti giorni bisognerà levargli quella telarina che farà di sopra; e gli aggiungerai un poco d’olio. E come non serà caldo, bastarà riguardarlo ogni due mesi. In quello che vorrai mangiare fresco, che è ottimo, gli porrai solamente un terzo d’oncia di sale per libbra d’uova, oncia una e mezza di pevere ammaccato per ogni peso d’uova. E questo pevere non si pone in quello da salvare perchè lo fa rancido; ponendoglielo maccato però, che ne potrai mettere oncia mezza di pesto per peso, e ponerglielo col sale, quando salarai le uova” (ricetta 303).

(1) Shevchenko A, Schuhmann A, Thomas H, Wetzel G (2018) Fine Endmesolithic fish caviar meal discovered by proteomics in foodcrusts from archaeological site Friesack 4 (Brandenburg, Germany). PLoS ONE 13(11): e0206483. https://doi.org/10.1371/journal.pone.0206483. DISPONIBILE CLICCANDO QUI!
Alla scoperta è stato dedicato anche un bell’articolo da Meilan Solly su Smithsonian Magazine, disponibile al link https://www.smithsonianmag.com/smart-news/stone-age-humans-enjoyed-rich-diet-featuring-caviar-180970918/ (ultimo accesso 11/10/2022, ore 12.45). CLICCA QUI PER ANDARE ALL’ARTICOLO!

(2) Ecco la preparazione di Maestro Martino, nella versione testuale del Manoscritto medievale 153, oggi conservato presso la Library of Congress di Washington, considerato, assieme al Manoscritto urbinate latino 1203 della Biblioteca Vaticana, il codice contenente la versione testuale più vicina alla redazione originaria:
“Et per fare il caviaro prendirai l’ova del storione a quella stagione et tempo che sonno megliori li storioni, et cava fora de le dicte ova tucti quelli nervi che hanno per dentro, lavandole con bono aceto bianco, overo con bono vino bianco.

Motto e impresa di Messisbugo, 1549
Motto e impresa di Messisbugo, 1549

Et poste sopra una tavola le lasciarai sciuccare, poi le mettirai in qualche vaso salandole con discretione tanto che basti, et menale molto bene inseme con la mano, ma dextramente, per romperle manco che sia possibile. Et fatto questo haverai un sacco ben bianco di tela un poco rada, et buttirali dentro questo caviaro per un dì et una notte, perché si coli fora quella acqua che fa il caviaro. Et facto questo li reponirai in un vaso ben calcato e ben stretto, cioè premendolo molto bene con le mani. Et farai nel fondo del ditto vaso tre o quattro buscitti per i quali possa uscire la humidità, se non fusse ben colato; tenendo il ditto vaso ben coperto, poterai magnare del ditto caviaro a tuo piacere”.

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