Breve storia della Forchetta!

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L’uso di un forchettone a lancia per distribuire il cibo – segnatamente la carne – è ben testimoniato già in età omerica che in età romana, basti qui la precisa descrizione di Aulo Gellio: Aulo Gellio nelle Notti Attiche un “est gladiolus oblungus in speciem linguae facte” e cioè: una piccola lama oblunga fatta a forma di lingua (1). L’utilizzo è strettamente correlato al mondo militare, d’altronde non era certo necessario ai contadini – che utilizzavano legnetti – o ai benestanti – serviti dagli Scissores (tagliatori di carne) e dagli Structores (dispensatori di vivande), progenitori dei rinascimentali Scalchi e Trincianti!

La prima attestazione dell’utilizzo di una forchetta modernamente intesa, cioè uno strumento personale per portare un cibo da un recipiente alla bocca, ci è tramandata da San Pier Damiani che ci racconta come la dogaressa Teodora, principessa bizantina moglie del doge Domenico Selvo, fosse solita comportarsi a tavola:

“Ella non toccava il cibo con le mani ma dagli eunuchi lo prendeva in piccolissimi pezzetti e subito dopo con una forchettina d’oro a due rebbi, lo avvicinava alla bocca con fare schizzinoso”. La notizia di San Pier Damiani è precisamente databile intorno al 1077, anno in cui Teodora giunse in Italia e l’utilizzo di questo strumento ‘superfluo’ ed esotico è fortemente stigmatizzato dalla morale ecclesiastica esemplificata nella lettura del santo dell’episodio: per questo modo di atteggiarsi a tavola, la principessa ricevette una ‘giusta’ punizione divina e le sue carni andarono presto in cancrena (2)!

Questo nuovo ‘strumento diabolico’ cominciò presto però a imporsi sulle tavole e nelle iconografie, anche cristiane: nell’Ultima cena rappresentata sulla ricchissima Pala d’Oro di San Marco (1209) si possono notare due forchette e due coltelli destinati ai soli Cristo e Pietro.

(fig.1, Ingrandimento dell’Ultima cena nella Pala d’Oro)
(fig.1, Ingrandimento dell’Ultima cena nella Pala d’Oro)

Da notare che Lotario da Segni, papa Innocenzo III (1161-1216), nello stesso periodo ammoniva i fedeli: “Cosa c’è di più vano che ornare la mensa con tovaglie decorate, con coltelli dal manico d’avorio, con vasi d’oro, con ciotole d’argento, con coppe e bicchieri, crateri e catini, con scodelle e cucchiai, con forchette e saliere, con bacili e orci, con scatole e ventagli? … Sta scritto infatti: “Quando l’uomo morirà non porterà con sé nulla di tutto ciò, e la sua gloria non scenderà con lui” (3). Ma una contemporanea miniatura dalle pagine del De Universo di Mauro Rabano (Cod.Cass. 132), mostra due uomini compiti, seduti a tavola che mangiano con la forchetta mentre dialogano amabilmente (4)

(fig.2, Ingrandimento, Cod.Cass. 132)
(fig.2, Ingrandimento, Cod.Cass. 132)

L’anatema religioso – che perdurò nella nostra penisola fino al XVIII secolo – non incontrò insomma grande fortuna e l’uso della forchetta si diffuse presto e non solo sulle tavole dei nobili e dei ricchi borghesi, ma addirittura, a partire dal Trecento, nelle taverne. A tal proposito riportiamo la celebre novella popolare del Sacchetti, la cui redazione è da porsi agli ultimi anni del Trecento:

“Noddo d’Andrea, il quale al presente vive, è stato grandissimo mangiatore, e di calde vivande mai non s’è curato, se non come s’elle andassono giù per un pozzo, quando se l’ha messe giù per la gola … Avvenne per caso una volta, che mangiando Noddo e altri insieme, ed essendo posto Noddo a tagliere con uno piacevole uomo, chiamato Giovanni Cascio; e venendo maccheroni boglientissimi; e ‘l detto Giovanni, avendo più volte udito de’ costumi di Noddo, veggendosi posto a tagliere con lui, dicea fra sé medesimo: «Io son pur bene arrivato, che credendo venire a desinare, e io sarò venuto a vedere trangusgiare Noddo, e anco i maccheroni per più acconcio del fatto; purché non manuchi me, io n’andrò bene». Noddo comincia a ragguazzare i maccheroni, avviluppa, e caccia giù; e n’avea già mandati sei bocconi giù, che Giovanni avea ancora il primo boccone su la forchetta, e non ardiva, veggendolo molto fumicare, appressarlosi alla bocca. E considerando che questa vivanda conveniva tutta andarne in Cafarnau, se non tenesse altro modo, disse fra sé stesso: «Per certo tutta la parte mia non dee costui divorare». Come Noddo pigliava uno boccone, ed egli ne pigliava un altro, e gittavalo in terra al cane; e avendolo fatto più volte, dice Noddo: «Omei, che fa’ tu?». Dice Giovanni: «Anzi tu che fai? non voglio che tu manuchi la parte mia; vogliola dare al cane». Noddo ride, e studiavasi; e Giovanni Cascio si studiava, e gittava al cane. Alla per fine dice Noddo: «Or oltre, facciamo adagio, e non gli gittare». E quelli risponde: «E mi tocca torre due bocconi, quando tu uno, per ristoro di quello che hai mangiato, non avendo io potuto mangiare uno boccone». Noddo si contendea; e Giovanni dicendo: «Se tu torrai più che uno boccone, quando io due, io gittarò la parte mia al cane». Finalmente Noddo consentì, e convenne che mangiasse a ragione; la qual cosa in tutta la vita sua non avea fatto, né avea trovato chi a tavola il tenesse a siepe” (5).

A partire poi dal quattrocento diventa sempre più comune ritrovare menzionate forchette personali in atti notarili di eredità di tutti i comuni d’Italia e nel rinascimento il diabolico strumento assume forme sempre più eleganti e raffinate, immortalato per sempre nei capolavori di Botticelli o del Perugino!

(fig.3. Botticelli, Novella di Nastagio degli Onesti)
(fig.3. Botticelli, Novella di Nastagio degli Onesti)

E Lorenzo de’ Medici, patrono di Botticelli, possedette ed utilizzò, a giudicare dall’inventario dei suoi beni ben 56 forchette! E a un’altra Medici spetta l’onore di aver esportato l’uso della forchetta in Francia e poi, di lì, in tutto il mondo dal Cinquecento alle nostre tavole…

Difatti fu la futura regina Caterina a insegnare l’uso della forchetta ai francesi. E si divertì molto quando a corte cominciarono a fare i conti con lo strano utensile che arrivava dall’Italia: “Nel portare la forchetta alla bocca, si protendevano sul piatto con il collo e con il corpo. Era uno vero spasso vederli mangiare, perché coloro che non erano abili come gli altri, facevano cadere sul piatto, sulla tavola e a terra, tanto quanto riuscivano a mettere in bocca”. Suo figlio, Enrico III, cercò di rendere obbligatorio l’uso della forchetta attraverso delle norme scritte.

Ma la nobiltà francese derise a lungo l’innovazione “effeminata” prima di cedere, definitivamente, all’innovazione venuta dall’Italia! Un’ultima curiosità: non furono i conventi – come sarebbe facile pensare – l’ultima istituzione, cronologicamente parlando, a sdoganare l’uso delle forchette in quanto cominciarono ad usarla alla fine del Settecento; fu la Royal Navy di Sua Maestà che si aprì all’uso della forchetta solo agli inizi del Novecento. Leggiamo infatti, ancora in un regolamento del 1897, che ‘l’uso della forchetta è proibito in quanto pregiudizievole alla disciplina ed al comportamento virile’.

(1) (X, 95)
(2) S. Pier Damiani, Institutio monialis, cap. XI; Migne, Patrologia Latina, CXLV, col. 744. Un’altra tradizione fa risalire l’episodio all’estate del 1004, durante il matrimonio del giovane doge Giovanni Orseolo II (984-1007) con la principessa bizantina Maria Argyropoulaina, figlia del principe bizantino Argiro. Questa seconda versione non è però chiaramente testimoniabile ed appare essere una duplicazione successiva dell’episodio narrato da Pier Damiani.
(3) Lotharii cardinalis (Innocentii III), De miseria bumane condicionis, IL 40, ed. a cura di M. Maccarrone, Thesaurus Mundi, Lugano 1955, p. 71: “Quid vanius quam ornare mensam mantilibus picturatis, cultellis ebore manicatis, vasis aureis, vasculis argenteis, cuppis et nappis, varalibus et gradalibus, scutellis et coclearibus, fascinulis et salariis, bacilibus et urceolis, capsulis et flabellis? … Scriptum est enim: ‘Non cum morietur accipiet hec omnia, neque simul descendet cum gloria sua’”.
(4) Cod. Cass. 132
(5) Franco Sacchetti, Il Trecentonovelle, CXXIV

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