La Gastrosofia!

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Buongiorno dalla Biblioteca del Garum! Quest’oggi vogliamo raccontarvi la nascita della Gastrosofia! E lo facciamo, come al solito, con un’edizione originale della nostra collezione: quella, mitica, della Physiologie du Gout ou Méditations de Gastronomie Transcendante; Ouvrage théorique, historique et a l’ordre du jour, stampata a Parigi da Sautelet nel 1826.

Edizione originale in prima tiratura, identificabile per la ‘E’ di Bourse al frontespizio del primo volume stampata in orizzontale e per gli errori di paginazione alle pagine 45 e 49 del secondo volume. L’opera è uno dei più famosi saggi di gastronomia di tutti i tempi, ed viene spesso ristampato a tutt’oggi.

Brillat-Savarin è considerato il padre della moderna gastronomia e della gastrosofia. In realtà l’autore fu tante un talento poliedrico (avvocato, giudice, politico, ufficiale dell’esercito, esule, professore di francese e musicista) ma non fu mai un cuoco, fu in primo luogo, come ci dice lui stesso, un buongustaio. Il libro che decretò il successo e la notorietà di B.S. al vasto pubblico fu l’ultima opera di una più vasta produzione letteraria. B.S. fu autore infatti di trattati di politica economia e di giurisprudenza che scandirono in particolare gli anni del ritorno in Francia, oltre che di opere di narrativa in gran parte perdute. A fronte di questa produzione “seria”, la Fisiologia rappresenta un divertissement, la cui stesura occupò diversi anni della vita dell’autore.

Nel corso di questa lunga gestazione, il lavoro divenne una delle sue preoccupazioni principali, tanto da portar con sé il manoscritto a lavoro: antidoto al tedio della quotidianità del Palais de Justice. Se, in serate conviviali, stralci di quest’opera erano lette agli amici come passatempo notturno, il libro venne pubblicato con riluttanza solo nel 1825. La pubblicazione fu fatta a sue spese e l’opera fu data alle stampe anonima: una piccola precauzione, questa, per “salvarsi” dall’eventuale scandalo puritano che avrebbe potuto suscitare la notizia che un giudice della Corte di Cassazione si dilettasse di ghiottonerie e frivolezze gastronomiche.

Brillat-Savarin, Physiologie du Gout, 1826
Brillat-Savarin, Physiologie du Gout, 1826

A discapito dell’anonimato, ben presto in tutta Parigi e la Francia venne a sapere di quest’opera e del suo autore. La Fisiologia divenne un vero e proprio best-seller che attrasse l’attenzione del vasto pubblico, ricevendone plauso e qualche critica. Famoso è per esempio il paragone di Balzac che descrisse l’opera come una olla podrida, un minestrone, a causa della sua struttura non esattamente coesa. Il libro si presenta infatti come una raccolta di 30 meditazioni, seguite da una miscellanea di aneddoti che completano il volume ed un percorso che dalla teoria si dipana nella pratica della gastronomia. Come il piacere che evoca, costitutivamente composito, il testo della Phisiologie è estremamente variegato. Discontinua nei toni, frammentaria nei discorsi, oscillante nell’interesse, la Ph. è stata più volte considerata dalla critica un’opera mal riuscita, priva di unità e di coerenza, estremamente povera dal punto di vista stilistico. Una delle principali cause di questa ostilità nei confronti della Phisiologie deriva molto probabilmente dalla difficoltà di collocarla entro un preciso genere di discorso: si tratta di un’opera scientifica o letteraria? divulgativa o specialistica? È un libro di cucina o un manuale di buone maniere?

Effettivamente, già nel gioco fra titolo e sottotitolo sembra stridere l’opposizione tra un genere scientifico qual è la “fisiologia” e un genere filosofico qual è la “meditazione”. Sappiamo però che ai primi dell’Ottocento le “fisiologie” si costituiscono in Francia come specifico genere di discorso, il quale strizza l’occhio al trattato scientifico, salvo poi alleggerirne il tono comunicativo e diffonderne il verbo. La fisiologia, in altre parole, è l’esito costruito di una contaminazione tra generi, dove il discorso della scienza viene preso in carico da un enunciatore che, mimandone le forme, ne divulga i temi, non senza una vena parodistica di fondo. Il che non toglie affatto al testo di B.S. la sua plausibilità teorica o la sua riuscita letteraria: semmai le rafforza entrambe. Dietro il tono edonistico e accattivante del discorso di B.S. si lasciano intravedere, infatti, temi e problemi di portata antropologica, psicanalitica e semiotica ben più ampia della semplice conversazione condotta dinanzi a un luccio di fiume ripieno e bagnato in salsa di gamberi. Il discorso “aimable” della Phisiologie è dunque funzionale sia al tema gastronomico in quanto tale sia al modo precipuo con cui B.S. si propone di svolgerlo. Il libro rivela così una curiosa mescolanza di generi discorsivi e di stili testuali, dove l’argomentazione, la narrazione in prima e in terza persona, il dialogo, la memoria, la confessione intima, la trattazione dotta etc. vengono convocate e intrecciate insieme grazie a una “prassi enunciativa” dall’esito del tutto imprevisto. In tal modo, gli stereotipi discorsivi dati dall’uso (i generi e gli stili) subiscono all’unisono una deformazione coerente che finisce per produrre un nuovo genere e un nuovo stile, i cui esiti si rivelano di primaria importanza per l’intero impianto semiotico del volume.

Il libro nella sua struttura segue un modello classico della letteratura filosofica-scientifica che in Francia ebbe esempi importanti come le opere di Montaigne e di Pascal. B.S. riflette sulle cose del mondo e della cucina, proponendo una sintesi del sapere scientifico medico dell’epoca con l’esperienza quotidiana del cibo. Potremmo dire che l’Uomo di B.S. è in qualche misura un uomo meccanico, organico, biologico, ma soprattutto sensoriale ed estetico, capace di costruire dalla base della fame e della sete un universo culinario, alla ricerca di nuovi piaceri. In fondo è egli stesso che sottolinea: “IX. La scoperta di un manicaretto nuovo fa per la felicità del genere umano più che la scoperta di una stella.” In queste pagine la riflessione scientifica si lega all’esperienza quotidiana fatta di paesaggi, leccornie ed episodi di vita che tratteggiano la realtà della cucina dell’alta borghesia e della nobiltà francese a cavallo dell’Ottocento: questa commistione è il tratto stilistico più importante di quest’opera che di fatto crea e consolida il genere semi-serio delle “fisiologie” particolarmente in voga tra Sette ed Ottocento. Per inciso, se vi siete sempre chiesti di chi fosse il detto ‘dimmi quel che mangi e ti dirò chi sei’, leggete il quarto dei venti aforismi di Brillat-Savarin che seguono, tratti dalla prima edizione italiana del 1914, tradotta da Mario Foresi:

‘AFORISMI DELL’AUTORE CHE SERVONO DI PROLEGOMENI ALL’OPERA SUA E DI BASE PERPETUA ALLA SCIENZA

I. L’universo non sarebbe, senza la vita; e tutto ciò che vive si nutre.
II. Gli animali si pascono; l’uomo mangia. Soltanto l’uomo di spirito sa mangiare.
III. Il destino delle nazioni dipende dalla maniera in cui si nutrono.
IV. Dimmi quel che mangi, ti dirò chi sei.
V. Il Creatore, obbligando l’uomo a mangiare per vivere, lo invita per mezzo dell’appetito e lo ricompensa col piacere.
VI. La ghiottoneria è atto del nostro giudizio, col quale preferiamo le cose piacevoli al gusto a quelle che non lo sono.
VII. Il godimento della mensa è di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i paesi e di ogni giorno; può associarsi a tutti i godimenti, e permane ultimo in noi per confortarci della perdita degli altri.

Ritratto di Brillat-Savarin
Ritratto di Brillat-Savarin

VIII. La tavola è il solo luogo ove non ci si annoia mai durante la prima ora.
IX. Più giova all’umanità la scoperta d’un nuovo cibo che la scoperta d’una stella.
X. Coloro che buscano indigestioni o coloro che si ubriacano non sanno bere nè mangiare.
XI. L’ordine dei commestibili va dai più sostanziosi ai più leggeri.
XII. L’ordine delle bevande va dalle più blande alle più alcooliche e alle più fragranti.
XIII. Pretendere che non si debba cambiare di vino è una eresia; la lingua se ne satura; e dopo il terzo bicchiere, anche il miglior vino perde del suo sapore.
XIV. Un dessert senza formaggio è una bella giovane a cui manca un occhio.
XV. Si diventa cuoco, ma si nasce rosticciere.
XVI. Dote necessaria ad un cuoco è l’esattezza. Deve esserla anche ai convitati.
XVII. L’aspettare a lungo un convitato ritardatario è mancanza di riguardo per tutti gli ospiti presenti.
XVIII. Colui che convita gli amici e non cura di persona il banchetto preparato, non è degno di commensali.
XIX. La padrona di casa deve accertarsi che il caffè sia sempre squisito; e il padrone che i liquori sieno perfetti.
XX. Convitare significa assumere la responsabilità del benessere dei convitati per il tempo che stanno in casa nostra.

Mennell, All Manners of Food: Eating and Taste in England and France from the Middle Ages to the Present, p. 268; Drexel, 1133; Schaemli, 77; Vicaire, 120; Bitting, 60. Cagle, 98; Crahan, 491; Heirs of Hippocrates, 1128; Simon, 218; Harrison, 137.

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